Alla Camera il ministro dell'Economia Giorgetti chiude sulla proroga dei termini degli «incentivi attuali». In legge di bilancio il ritorno integrale ai vecchi sconti del 65 e 50 per cento
Il Governo «non ha intenzione di procedere alla proroga delle misure relative agli interventi nelle forme finora conosciute». Al ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti bastano poche parole nella risposta di ieri al Question Time alla Camera per affossare le speranze di una riapertura dei termini per le ristrutturazioni avviate con il Superbonus e inciampate nel caos di questi mesi sulla cessione dei crediti. L'attenzione delle ultime settimane si era concentrata in particolare su un'ipotesi di rinvio, anche breve, della scadenza del 31 dicembre entro cui vanno chiusi i lavori dei condomini, e su quello il titolare dei conti ha risposto. Ma al ministero dell'Economia si lavora su più versanti. Perché oltre a misurare l'ulteriore colpo aggiuntivo inferto dal 110% ai conti di quest'anno occorre salvare il salvabile in quelli del prossimo, già alle prese con gli effetti del rallentamento della crescita e con le esigenze di una legge di bilancio che fatica a trovare spazi senza mettere a rischio il percorso di discesa del debito.
In pratica, la manovra dovrebbe chiudere definitivamente il sipario sul Superbonus, riconducendo il ventaglio delle agevolazioni edilizie nei binari tradizionali del 65 e del 50%. Senza cessioni del credito e sconti in fattura.Sul tavolo c'è insomma l'ultima tappa della stretta in più tempi che prima ha provato a rallentare le cessioni dei crediti per contrastare le frodi, e poi ha ridotto le percentuali di beneficio con un decalage che a questo punto verrebbe accelerato dalla "normalizzazione" degli incentivi. I decreti sul tema che sono piovuti a ripetizione, prima dal Governo Draghi che già aveva fatto risuonare alto l'allarme sui conti, e poi dal Governo Meloni che si è ritrovato una situazione sempre più esplosiva, hanno complicato parecchio la gestione dei crediti d'imposta ma non hanno fermato l'onda; nascosta in particolare nella mole delle comunicazioni di inizio lavori presentate entro il 25 novembre 2022 e in parte ancora sconosciuta nelle sue dimensioni reali.
Una delle tante incognite sul bilancio pubblico arriva da lì, perché le Cila hanno validità triennale e quindi molte di quelle presentate ma ancora "in sonno" potrebbero in teoria tradursi in lavori (e in cessioni dei crediti, pur con i limiti oggi in vigore) nei prossimi mesi. E proprio per questo tra le ipotesi circolate nelle ultime settimane c'è anche quella di uno stop per decreto alla validità delle Cila che ancora non sono sfociate nell'avvio dei lavori.La netta ostilità del Governo nei confronti del Superbonus è nota. «I bonus voluti dal Governo Conte sono costati 140 miliardi, cioè fra 4 e 6 manovre», ha riassunto ieri la premier Giorgia Meloni ospite di Bruno Vespa a Porta a Porta. «Misure pagate da tutti gli italiani che hanno interessato meno del 3% del patrimonio immobiliare», aveva sottolineato poco prima alla Camera Giorgetti. Le valutazioni sull'impatto macroeconomico del superincentivo sono «soggette a un ampio margine di incertezza», ha ricordato poi il ministro, come conferma «la significativa variabilità dei risultati prodotti» da chi ha provato a misurarli; mentre «la quantificazione dei costi per le finanze pubbliche è certa e dovrà darsene conto anche nella prossima Nadef».
Il che implica la conferma di una probabile risalita del deficit 2023 dal 4,5% ipotizzato ad aprile verso l'area 6,5-7% caricando tutta la spesa imprevista quest'anno.Ma ad angosciare di più il Governo sono le prospettive future, su cui pesa la minaccia dei crediti che impattano sul debito quando vengono utilizzati in compensazione riducendo il gettito fiscale e dunque aumentando il fabbisogno da coprire con titoli di Stato. Si tratta dei 109 miliardi che i contribuenti hanno ancora in pancia (15-20 in più di quelli calcolati ad aprile) e che dovrebbero scaricarsi nei prossimi anni, soprattutto nel 2024-27. Per arginare questo flusso, Giorgetti ha spiegato che «sono allo studio dell'Esecutivo strumenti attraverso i quali consentire la verifica della bontà dei crediti ancora in possesso dei cittadini e sorti nel periodo antecedente l'introduzione dei vincoli di appropriatezza».
Si tratta in pratica dei crediti nati prima del freno alle cessioni tirato dal Governo Draghi a inizio 2022 (Dl 4 di quell'anno); l'idea è quella di chiedere ai titolari di questi bonus una sorta di verifica a chiamata da parte dell'agenzia delle Entrate. Per poter utilizzare il credito in compensazione, se il progetto diventerà norma, le imprese dovrebbero quindi chiedere all'amministrazione finanziaria un esame preventivo sulla legittimità del bonus. Nella speranza di attutire l'impatto su un debito/Pil già messo in difficoltà dalla congiuntura.
(Fonte: ilsole24ore.com)